Creare team vincenti attraverso l’integrazione intergenerazionale
Viviamo un’epoca in cui le generazioni si osservano ma faticano a comprendersi davvero. In azienda, nella società, in famiglia. I Boomer, la Gen X, i Millennial e la Gen Z si parlano, sì, ma spesso non si ascoltano e non si comprendono veramente. Ognuno chiuso nelle proprie ragioni, nei propri ritmi, nei propri codici.
Il risultato? Incomprensioni, tensioni, separazioni, distanze. E una perdita enorme di potenziale umano, relazionale e di essere team.
Per me, la collaborazione tra generazioni non è un problema da gestire ma un’opportunità da liberare. Ogni generazione ha qualcosa da dare e qualcosa da ricevere; qualità, pregi, limiti e difetti, come chiunque.
Nessuno è completo da solo. Nessuno possiede tutta la verità.
L’assurdità? Non è una questione anagrafica. È una questione di modelli mentali, mindset e frasi fatte che non funzionano più.
Un cambio di paradigma: dall’Age Management all’Age Integration and Cooperation
La vecchia idea di “gestire l’età”, come fosse un problema da contenere, è superata. Serve un nuovo approccio: integrare le età, creare contesti in cui le diversità non vengano solo smussate ma soprattutto valorizzate.
Dove l’esperienza si affianchi alla creatività.
Dove la velocità si equilibra con la visione.
Dove la passione ed l’entusiasmo dei giovani si nutrano di saggezza e strategia. E viceversa.
Come si costruisce questa integrazione?
Attraverso:
- Ascolto empatico: uscire dalla propria bolla generazionale e mettersi nei panni dell’altro.
- Sblocco dei bias: riconoscere e superare gli stereotipi inconsci (“i giovani sono superficiali, non hanno voglia”, “gli anziani sono rigidi e lenti”…).
- Dialogo strutturato: facilitare il confronto con formati guidati, ruoli chiari e obiettivi condivisi.
- Esempi reali: osservare casi di successo di aziende che hanno fatto della diversità d’età un vantaggio competitivo.
- Formazione mista: coaching, reverse mentoring, workshop intergenerazionali.
Mentre sprechiamo energie a misurare gli anni, perdiamo la risorsa più preziosa: la diversità di prospettive, che crea valore, fiducia, unità e spirito di squadra.
Il contesto attuale richiede leader nuovi
Chi guida un team oggi non può limitarsi a dirigere.
Deve conoscere il codice culturale delle generazioni, comprenderne bisogni e motivazioni e saper adattare il proprio stile di leadership per ottenere il meglio da ciascuno.
Questo è il tempo dei Perennial.
I Perennial non sono una generazione ma un’attitudine che attraversa tutte le età.
Sono persone che continuano a fiorire, che non smettono mai di imparare, che si mantengono attive, presenti, aggiornate e curiose. Sono quelli che non chiedono “quanti anni hai?”, ma “che energia porti?”.
Essere Perennial significa:
- vivere con spirito giovane anche quando gli anni avanzano.
- Ascoltare i più giovani senza sentirsi minacciati.
- Mettersi in discussione senza perdere la propria identità.
- Abbandonare la nostalgia del “si stava meglio prima” e affrontare il presente con consapevolezza.
- Contribuire alla crescita comune con intelligenza emotiva e spirito costruttivo.
I Perennial non cercano ruoli statici ma connessioni vive.
Non hanno paura del cambiamento, ma della chiusura mentale.
Sono quelli che uniscono. Che sanno imparare da tutti. Che restano rilevanti non per potere o posizione ma per presenza e contributo.
Come scrive Lindsey Pollak in “The Remix”, chi ha responsabilità (dirigenti, HR, imprenditori, coach) deve imparare a “remixare” approcci, linguaggi e strategie, non per uniformare ma per armonizzare.
Il futuro appartiene alle organizzazioni che sanno orchestrare e armonizzare questa diversità, non eliminarla.
Perché posso parlarne con autorevolezza?
Ho 66 anni. Ho vissuto più cicli professionali di quanti ne riesca a contare.
Sono padre di quattro figli: due hanno 45 anni meno di me, gli altri due 30 anni meno di me. Due femmine e due maschi.
E sì, hanno ancora bisogno di essere sostenuti, accompagnati, aiutati a scoprire e costruire il proprio cammino, indipendentemente da età e genere.
Essere padre oggi mi ha insegnato che guidare non significa imporre, ma camminare accanto: offrendo ascolto, fiducia, incoraggiamento, stabilità, presenza.
Lo stesso vale nelle aziende, nelle scuole e nello sport.
In troppi contesti l’età viene vista come un rischio, quando invece è spesso la leva che stabilizza, armonizza, struttura e accelera.
Nel mio libro L’Energia che Sei scrivo che lo stato d’animo che porti vale più di quello che sai o del ruolo che ricopri.
La presenza di spirito, la fiducia, la passione, la compassione e il coraggio sono il vero collante tra le differenze.
Ho scritto Panchine Pensanti e da anni lavoro sul delicato triangolo genitori–allenatori–giovani atleti.
Una relazione spesso instabile ma straordinaria quando si riescono a costruire fiducia, dialogo, armonia e motivazioni reciproche.
Oggi più che mai mi riconosco come un Perennial, perché continuo a imparare, esplorare, crescere e servire.
E chi sceglie di mettersi in gioco e aprire la mente rivolto al meglio degli esseri umani, può davvero unire le generazioni.
Questo tema tocca in profondità anche la successione familiare nelle imprese, dove il passaggio di testimone non riguarda solo quote o ruoli, ma una visione condivisa, fiducia reciproca, integrazione di valori diversi e una nuova distribuzione di potere e leadership.
Le aziende giovani crescono più velocemente quando si contaminano con l’esperienza.
Le aziende mature ritrovano energia ed entusiasmo quando si aprono al nuovo.
Il valore nasce dall’incontro delle differenze di età, genere, etnia e dalla valorizzazione delle qualità, virtù e talenti di ciascuno, non nella loro esclusione perché si pone troppo l’attenzione sbagliando soprattutto su difetti e limiti.
