In una vita nel mondo dello sport ho condiviso spogliatoi con argentini, americani, austriaci, brasiliani, bulgari, greci, cubani, jugoslavi, serbi, montenegrini, croati, polacchi, olandesi, russi, ungheresi, italiani del Sud del Nord del Centro e altri ancora.
Da sportivo ho giocato in tutti i continenti e incontrato umani di ogni colore ed etnia con cui mi sono battuto lealmente sui campi da gioco. A volte ho vinto, altre volte ho perso.
E di fronte alle notizie di questi ultimi tempi mi sento turbato. In questo clima di insofferenza verso il tema delle migrazioni e più in generale su ciò che sentiamo diverso, estraneo da noi, ci può essere un cammino verso la pace e la concordia?
Io non ho ricette speciali, ma penso che comportamento, disciplina, regole uguali per tutti e condivise, erano, sono e saranno sempre ciò che ci unisce, per quello che ognuno è nella propria diversa personalità e cultura e nel rispetto reciproco con un obiettivo: essere squadre di umani che giocano, lavorano, convivono con altre squadre di umani.
In questo periodo storico di grande connessione e intreccio tra i popoli abbiamo bisogno, in spogliatoio come in campo, di regole che vengano rispettate per far emergere il merito e le qualità di ognuno di noi, indipendentemente dalle singole peculiarità, dalle differenze che ci contraddistinguono e che poca cosa sono rispetto a ciò che invece ci unisce nell’animo: il sapere di nascere tutti uguali, liberi e uniti dallo stesso destino come Esseri umani terrestri.