Desidero ringraziare il giornalista di Style Magazine, Fabrizio Zanni, per l’attenzione e la sensibilità con cui ha raccolto le mie parole. L’intervista è stata pubblicata in versione ridotta sulla rivista, e potete leggerla al link ufficiale: CLICCA QUI

Qui di seguito invece trovate la versione completa, con tutte le domande e le mie risposte, così come le ho condivise durante la conversazione.


Sul concetto di energia

1. Nel suo libro parla di energia come unione di corpo, mente e spirito. Quando ha capito per la prima volta che questa visione “olistica” poteva diventare una chiave di vita e di lavoro?

L’ho capito da atleta. Mi allenavo duramente, ero preparato tecnicamente, ma se la mia energia non era centrata – se corpo, mente e spirito non erano allineati – la performance calava. Quando invece trovavo quell’unità interiore, entravo in uno stato di presenza totale, in cui tutto scorreva con naturalezza. Col tempo ho capito che non era solo una condizione sportiva: era una chiave di vita e di lavoro. Da lì è iniziata la mia ricerca e il mio impegno per aiutare le persone a ritrovare la loro energia profonda.

2. Tra le 9 energie che lei descrive (fiducia, motivazione, passione, determinazione, presenza, coraggio, impegno, gratitudine, felicità), quale sente più “sua” e quale invece ha dovuto coltivare di più nel tempo?

L’energia che sento più mia è la fiducia: in me stesso, nelle mie capacità, ma anche negli altri. È quella che mi ha permesso di affrontare sfide difficili, di guidare squadre e di credere che insieme si potesse arrivare più lontano di quanto si immaginasse.

Quella che invece ho dovuto coltivare è la gratitudine. Da giovane ero concentrato soprattutto sugli obiettivi e spesso davo per scontate persone e risultati. Col tempo ho capito che senza gratitudine manca la vera pienezza: è lei che ti fa riconoscere il valore di ciò che hai e trasformare ogni esperienza, anche la più dura, in una ricchezza.

3. Secondo lei, qual è l’energia più sottovalutata nella società di oggi?

L’energia più sottovalutata oggi è il coraggio. La parola stessa lo dice: cor-aggio è l’energia del cuore. Viviamo in un tempo in cui la paura domina – paura di sbagliare, di non essere all’altezza, di perdere quello che abbiamo – e la paura ci blocca, ci paralizza. Il coraggio invece è ciò che ti permette di attraversarla. Non è assenza di paura, ma fiducia nel cuore, nella sua forza, che ti spinge ad andare avanti nonostante tutto.

Lo sport me l’ha insegnato tante volte: prima di una finale olimpica la paura c’è, è inevitabile. Ma se la trasformi in coraggio, tutto cambia: diventa concentrazione, presenza, energia viva. Senza coraggio non si aprono le altre energie: la fiducia resta fragile, la motivazione si spegne, la passione non si esprime. È davvero la scintilla che libera lo spirito che sei.

Dal campo al coaching

4. Da capitano della Nazionale di volley alle Olimpiadi a mental coach: in che modo l’esperienza sportiva ha influenzato la sua filosofia di lavoro con manager, atleti e giovani?

L’esperienza da capitano della Nazionale mi ha insegnato cosa significa davvero essere un leader. Non era solo una fascia sul braccio: era un esercizio continuo di leadership, di responsabilità verso la squadra. Ho imparato che non vince mai il singolo, ma il gruppo, e che il compito di un leader non è primeggiare sugli altri, ma far emergere il meglio da ciascuno, armonizzando energie e stati d’animo diversi.

Questa esperienza ha plasmato la mia filosofia di lavoro di oggi. Che si tratti di manager, atleti o giovani, porto la stessa visione: la leadership autentica nasce dall’integrazione – del corpo, della mente, dello spirito – e dalla capacità di creare fiducia reciproca. Lo sport mi ha insegnato che la performance non è mai solo tecnica o strategia, ma energia condivisa e spirito comune. Questo è ciò che porto nei percorsi di coaching: aiutare le persone a diventare leader di sé stesse e, attraverso questo, leader autentici nelle squadre e nella vita.

5. C’è un insegnamento appreso nello sport che applica ancora oggi quotidianamente nella vita e nel coaching?

Lo sport mi ha insegnato una cosa che applico ogni giorno nel coaching: non sei mai arrivato, c’è sempre da imparare e da crescere. Anche dopo anni di carriera, ogni allenamento era un’occasione per migliorare. Questo atteggiamento l’ho portato nel mio lavoro: il coaching, per me, è un metodo maieutico, che aiuta a tirare fuori il potenziale che già esiste dentro ogni persona.

Da capitano ho imparato che la vera leadership non è comando, ma ascolto ed esempio. Oggi, da coaching professionista diplomato e riconosciuto, ho trasformato tutto questo nel Metodo Bertoli: un approccio che unisce le mie competenze e le tante esperienze vissute – da atleta, leader di squadra, allenatore, dirigente e ricercatore spirituale – per trasmettere a manager, atleti e giovani strumenti concreti e ispirazione autentica. Lo sport passa, ma l’energia che sei, lo stato d’animo che sei, lo spirito che sei: quello resta, ed è ciò che il coaching aiuta a liberare.

6. Qual è stata la sfida più grande nel passaggio da atleta a coach e formatore?

La sfida più grande è stata cambiare prospettiva. Da atleta sei concentrato su di te, sulle tue prestazioni, sui tuoi obiettivi. Quando diventi coach e formatore, invece, il centro non sei più tu: sono gli altri. È un ribaltamento totale, che richiede di lasciare da parte l’ego e di mettersi al servizio.

All’inizio non è stato facile, perché venivo da un mondo dove il risultato era visibile e immediato: una vittoria, un punto, una medaglia. Nel coaching e nella formazione, invece, il risultato è più sottile, si misura nel tempo, nella crescita delle persone. Ho dovuto imparare la pazienza, la capacità di ascoltare profondamente e di rispettare i tempi di ciascuno. Questa trasformazione è diventata la radice del mio lavoro di oggi. È da lì che nasce anche il Metodo Bertoli, che unisce l’esperienza sportiva con la mia ricerca interiore e le competenze acquisite, per aiutare manager, atleti e giovani a scoprire e a liberare il proprio potenziale. In fondo, la sfida più grande è stata imparare a passare dal “giocare io” al “far giocare gli altri”: ed è la più bella vittoria che potessi ottenere.

Sul libro e la scrittura

7. “L’Energia che Sei” è un racconto che unisce teoria e vissuto personale: quanto è stato difficile aprirsi e condividere esperienze così intime e formative?

Scrivere L’Energia che Sei è stato un viaggio intenso. Aprirsi e condividere le proprie esperienze più intime non è mai semplice, perché significa mettersi a nudo, raccontare fragilità e momenti difficili, non solo successi. Ma ho sentito che era necessario: non volevo scrivere un manuale teorico, volevo trasmettere verità vissute sulla mia pelle.

Ho capito che solo mostrando la mia parte più autentica potevo davvero arrivare al cuore degli altri. Perché l’energia che sei, lo stato d’animo che sei, lo spirito che sei non si insegnano dall’alto di una cattedra: si trasmettono attraverso il racconto, la testimonianza, la maieutica che permette a chi legge di tirare fuori la propria verità.

È stato impegnativo, ma anche liberatorio: trasformare la mia vita in narrazione è stato un modo per dare valore a ogni esperienza, anche la più dura, e offrirla agli altri come strumento di crescita. In questo senso, il libro è parte integrante del Metodo Bertoli, perché unisce teoria, pratica e vita vissuta in un unico flusso.

8. Che cosa spera rimanga al lettore una volta chiuso il suo libro?

Spero che al lettore resti prima di tutto una sensazione: la consapevolezza che l’energia che sei, lo stato d’animo che sei, lo spirito che sei sono già dentro di lui. Non voglio che il libro venga percepito come un punto d’arrivo, ma come una porta che si apre.

Mi auguro che chi legge possa sentirsi accompagnato, riconoscersi nelle mie esperienze e dire: “Se è stato possibile per lui, allora posso farlo anch’io”. Vorrei che restasse la fiducia: fiducia in sé stessi, negli altri, nella vita. Perché è da lì che nasce il coraggio di cambiare, di crescere, di affrontare le paure che bloccano.

E soprattutto spero che resti un seme di gratitudine: verso la propria storia, verso le persone incontrate, verso la possibilità di evolvere. Se il libro riesce a smuovere questo, anche solo in piccola parte, allora il suo scopo è compiuto.

Sul lavoro con i giovani

9. Ha detto che i giovani hanno potenziale ma hanno bisogno di guida. Qual è l’errore più comune che vede negli approcci educativi o formativi verso le nuove generazioni?

L’errore più comune che vedo oggi è quello di voler riempire i giovani di nozioni, regole e aspettative, invece di aiutarli a tirare fuori ciò che già hanno dentro. Spesso li carichiamo di pressioni e modelli precostituiti, ma non li accompagniamo a scoprire davvero chi sono. Così rischiano di crescere pieni di informazioni, ma poveri di fiducia in sé stessi.

In Panchine Pensanti ho raccontato proprio questo: quanta importanza abbia il fermarsi, ascoltarsi, riflettere. I ragazzi non hanno bisogno solo di correre, di fare, di raggiungere obiettivi; hanno bisogno di spazi in cui sentirsi ascoltati, riconosciuti e guidati. La vera formazione è maieutica: non impone, ma stimola, incoraggia, sostiene.

Credo che l’educazione e la formazione debbano essere più umane e relazionali. I giovani hanno un potenziale enorme, ma serve qualcuno che sappia credere in loro, offrire esempi autentici e insegnare con la vita, non solo con le parole. È questo lo spirito che porto nei miei incontri con loro: creare un contesto in cui possano fidarsi, sperimentare e scoprire lo spirito che sono.

10. Qual è la qualità che più spesso cerca di far emergere nei ragazzi con cui lavora?

La qualità che cerco di far emergere nei ragazzi è una combinazione di energie fondamentali: fiducia in loro stessi, consapevolezza, passione e coraggio. La fiducia è la base: senza di essa non possono esprimere il proprio potenziale. La consapevolezza nasce dall’ascolto interiore, dal riconoscere se quello che fanno li appassiona davvero. Il coraggio serve per scegliere la propria strada, anche quando è diversa da ciò che gli altri si aspettano.

Ma dopo la scelta entrano in gioco altre due energie decisive: l’autodisciplina e la determinazione. Perché le passioni non bastano se non impari a coltivarle con costanza e impegno. È la capacità di non mollare, di costruire giorno dopo giorno, che trasforma un sogno in realtà.

Il mio compito non è dare ricette, ma creare le condizioni perché i ragazzi possano tirare fuori queste energie da dentro di sé. Quando vedo un giovane che si fida di sé, che segue ciò che lo appassiona, che ha il coraggio di scegliere e la disciplina di portare avanti quella scelta con determinazione, allora so che sta diventando davvero lo spirito che è.

11. C’è un episodio particolare con un giovane studente o atleta che l’ha colpita e che porta sempre con sé come esempio?

Sì, c’è un episodio che porto sempre con me. Un ragazzo universitario era arrivato da me deciso a mollare l’università: non trovava più senso, né motivazione. Abbiamo fatto un percorso individuale di coaching insieme, durato circa tre mesi. Il mio obiettivo non era convincerlo a restare, ma aiutarlo a ritrovare fiducia in sé, a fare chiarezza, a capire cosa davvero lo appassionava.

Dopo circa un anno e mezzo mi chiamò. Ricordo ancora la sua voce piena di emozione: mi disse che si era laureato. Per me fu una grande soddisfazione, non tanto per il titolo in sé, ma perché aveva ritrovato dentro di sé il coraggio, la determinazione e la disciplina per portare a termine il percorso.

Quell’episodio mi ricorda ogni volta che il coaching non è imporre dall’esterno, ma creare le condizioni perché la persona tiri fuori le proprie energie e risorse interiori. È questo che cerco sempre di fare con i giovani: aiutarli a scoprire lo spirito che sono, e a fidarsi della loro forza.

Visione personale

12. Guardando al futuro, che ruolo pensa avrà il coaching e la gestione dell’energia interiore in una società sempre più veloce e stressante?

Credo che il coaching e la gestione dell’energia interiore avranno un ruolo sempre più centrale. Viviamo in una società che corre, dove la velocità e lo stress rischiano di portarci fuori dal nostro centro. Se non impariamo a prenderci cura dello stato d’animo che siamo, dello spirito che siamo, rischiamo di vivere in superficie, reagendo agli eventi invece di guidare la nostra vita.

Il coaching, soprattutto se vissuto in chiave maieutica, non è un lusso ma una necessità: aiuta le persone a fermarsi, ad ascoltarsi, a riconoscere le proprie energie interiori e a gestirle in modo consapevole. È così che si ritrovano equilibrio, lucidità e capacità di scelta.

Per me il futuro richiede leader, manager, genitori e giovani capaci di guidarsi dall’interno, non solo dall’esterno. Ecco perché il lavoro sull’energia interiore, che ho raccolto nel Metodo Bertoli, non riguarda solo la performance, ma la qualità della vita. In un mondo veloce, la vera rivoluzione sarà imparare a rallentare dentro, per vivere con presenza e autenticità fuori.

13. Lei parla spesso di gratitudine: per cosa si sente oggi più grato, sia a livello personale che professionale?

Per me gratitudine significa amare quello che c’è, così com’è, qui e ora. È uno stato di presenza: guardo quello che ho e scelgo di non disperdere energia su ciò che mi manca.

Oggi mi sento profondamente grato perché sto bene, perché la mia famiglia sta bene, perché faccio un lavoro che mi appassiona e che mi permette di stare a contatto con persone che desiderano migliorarsi per poi migliorare anche gli altri. È una condizione che considero un dono: poter vivere ciò che amo e vedere che questo porta beneficio anche a chi incontro. In più, ho imparato che l’energia che sei la trasmetti, che tu lo voglia o no. È contagiosa: se vivi gratitudine, irradi gratitudine; se vivi paura, diffondi paura. Per questo scelgo ogni giorno di nutrire ciò che mi fa stare bene, perché so che inevitabilmente diventa nutrimento anche per gli altri. Alla fine, mi ritengo fortunato: vivo la vita che voglio, ed è questa la forma più alta di gratitudine.

14. Se dovesse racchiudere in una frase il messaggio che vuole lasciare attraverso la sua vita e i suoi libri, quale sarebbe?

“L’energia che sei, lo stato d’animo che sei, lo spirito che sei sono contagiosi: coltivali con fiducia, coraggio e gratitudine, perché solo così puoi migliorare te stesso e il mondo intorno a te.”


Spero che questa intervista possa offrirvi spunti di riflessione e incoraggiarvi a coltivare la vostra energia interiore, quella che unisce corpo, mente e spirito.

Per chi desidera approfondire, nel mio libro L’Energia che Sei racconto in modo ancora più personale e concreto questo percorso: un invito a scoprire e liberare lo spirito che siete.

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