Sono felice di condividere l’articolo pubblicato sul Sole 24 Ore da Gianni Rusconi, che racconta il mio percorso dal volley al coaching per manager e leader uniti nella mia idea di energia umana.
Un viaggio che ho fatto unendo i puntini in comune dello sport e delle imprese per affrontare le sfide da vincenti.
SOLE 24 ORE
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Insegnare a fare i manager (e i leader) con le regole dello sport.
di Gianni Rusconi
25 novembre 2024
L’ex campione di pallavolo Franco Bertoli si è reinventato come mental coach per manager, applicando principi sportivi alla crescita personale
La sua attuale professione è quella di mental coach e formatore e si affianca all’essere nel contempo imprenditore, speaker e scrittore.
Fra i suoi “datori di lavoro” vi sono nomi di spicco del panorama accademico italiano come il Politecnico di Milano e l’Università di Bologna e suoi principali interlocutori sono giovani manager di grandi aziende. La precedente carriera di Franco Bertoli si svolgeva invece in ben altri contesti, palazzetti e palestre principalmente, perché stiamo parlando di un campione dello sport che ha fatto la storia della pallavolo tricolore, giocando da capitano nella Panini Modena e nella nazionale azzurra che ha conquistato la medaglia di bronzo alle Olimpiadi di Los Angeles del 1984, il primo alloro olimpico per questa disciplina.
Nel suo nuovo mestiere, Bertoli ha portato molto del suo essere stato un atleta professionista ai massimi livelli, e in particolare – come lui stesso ha più volte confermato – vi ha portato il senso di responsabilità e di crescita personale sperimentato lungo una carriera durata quasi 20 anni.
Affrontando la sua prima esperienza da coach sportivo, la prima sfida vinta fu quella di focalizzare il proprio lavoro non solo sulle competenze tecniche ma anche (anzi, soprattutto) sulla crescita mentale e umana degli atleti, comprendendo come l’essenza del suo ruolo era quella di aiutare le persone a scoprire il loro potenziale, oltre i limiti che
pensavano di avere.
Intraprendere il percorso del coaching in ambito aziendale, materia alla quale Bertoli assicura di approcciarsi in maniera olistica, è stato un passaggio graduale e naturale, che l’ha portato a scoprire e a comprendere sempre di più il valore dell’energia interiore, un concetto che oggi è al centro del suo modo di “allenare” i manager e i leader di domani e di un libro (“L’Energia che Sei – Come scoprirla e trasmetterla per migliorare te stesso e le tue relazioni“, edito da Bookness) a sua firma uscito lo scorso aprile.
Disciplina e corretta gestione mentale ed emotiva.
Altri capisaldi di questo modello sono la disciplina e la corretta gestione mentale ed emotiva: la prima deriva dall’aver metabolizzato l’importanza dei duri e costanti allenamenti che richiedeva la vita da atleta professionista mentre la seconda è un requisito legato alla convinzione che il solo talento tecnico (per quanto eccelso) non può bastare. E se, come ricorda lo stesso Bertoli, «l’esperienza da capitano della Nazionale italiana di pallavolo ha gettato le basi, solo quando ho cominciato a lavorare con manager e professionista ho capito quanto fosse potente applicare questi principi anche al di fuori dello sport». La capacità di essere presenti, di concentrarsi sul momento e di gestire le emozioni in modo da trasformarle in forza positiva, in altre parole, è una dote che alle persone in genere (e non solo ai leader) non dovrebbe mancare.
Un buon coaching, di conseguenza, deve avere l’obiettivo di guidare e motivare le persone a dare il meglio di sé, vivendo pienamente le dinamiche di squadra e puntando ad esprimere le performance migliori lungo tutto il percorso.
La ricetta di Bertoli per raggiungere lo scopo è sulla carta semplice e trova espressione nei principi del metodo maieutico: «Coinvolgere le persone e avere come priorità la loro energia e la loro presenza di spirito. Non è sempre vero che chi più sa, più è bravo. Le competenze non sono il punto di arrivo perché sono la motivazione e il coraggio a fare spesso la differenza e qualsiasi sfida va affrontata con queste caratteristiche». Non c’è ovviamente una formula magica buona per tutte le occasioni ed è necessaria invece predisposizione da entrambe le parti, manager e collaboratori, allenatore e giocatori. «Sono la stessa energia – aggiunge ancora Bertoli – e sono un’unità assoluta. Il leader ha qualcosa in più ma è tutt’uno con il suo team».
Le somiglianze con lo sport.
Le assonanze con il mondo dello sport, parlando di questi temi con Bertoli, certo non mancano. E si scopre così che il tema del change management è assimilabile a una partita di calcio e che la gestione del cambiamento è l’espressione dell’essere il meglio di sé stessi in tutti i momenti della partita, perché in un contesto di continui ribaltamenti (come lo può essere una sfida a pallone) occorre essere sempre lucidi e saper trovare le soluzioni più opportune. Migliorare sé stessi per migliorare con gli altri, questo un altro fondamento raccontato nel libro, è una regola applicabile a tutti perché ogni soggetto di un’organizzazione (o di un team sportivo) è un anello della catena. «Tutti possono essere spinti e motivati a tirare fuori il meglio – spiega in proposito Bertoli – valorizzando i pregi rispetto ai difetti: si vince con l’esaltazione e l’allenamento delle virtù e dei talenti, guardando ai difetti per colmarne gli impatti ma evitando di essere troppo autocritici, concentrandosi sulla qualità dell’individuo in modo virtuoso per esaltarne le doti, dal leader all’ultimo dei collaboratori».
E parlando di leader, oggi a queste figure manca secondo Bertoli qualcosa e nella fattispecie la presenza di spirito, mancanza che rende difficile comprendere lo stato d’animo dei collaboratori e i segnali che i loro atteggiamenti lasciano intuire. C’è inoltre, a suo dire, eccessiva propensione ad esaltare i difetti e non a valorizzare i pregi, con il risultato di ridurre il coinvolgimento e la motivazione dei collaboratori. «Le persone vogliono stare con i leader che sanno valorizzarli, che sanno incoraggiarli a vincere la paura e le sfide, costituendo un esempio per i giovani. Ognuno può diventare leader e la fiducia è il motore che ti fa camminare in avanti, dandoti la convinzione di poter raggiungere il limite del tuo talento. È un percorso di scoperta delle proprie virtù, perché non siamo macchine ma essere unici, che gestiamo momenti e stati d’animo, a volte in modo eccezionale».
Le difficoltà per un mentale coach.
Principi e concetti chiari, quelli che devono muovere l’opera di un mental coach in un’era in cui insegnare ad essere leader e tare formazione è più complesso rispetto al passato perché richiede molta più attenzione. «Il fattore digitale – sottolinea infatti Bertoli – aumenta la capacità di definire le priorità e va gestito in modo adeguato, focalizzando l’attenzione e la concentrazione in modo mirato, riducendo il rischio di distrazione. E poi c’è il fattore tempo, altrettanto fondamentale, perché occorre scegliere in modo consapevole dove destinare la propria attenzione». Senza dimenticare che, dietro l’angolo, può incombere il fallimento, che a volte non dipende da noi stessi e che va considerato un momento di svolta, di un possibile aggiustamento nonché di occasione per trovare e scoprire nuove motivazioni e nuove forze. «Sconfitta e fallimento sono parte del percorso», conclude Bertoli. che a precisa domanda se ritiene più difficile fare il manager di una multinazionale o l’allenatore di un team sportivo di un certo livello risponde da “vecchio capitano” (e non poteva essere altrimenti): «la seconda, ma fare il leader in una grande azienda è una sfida appassionante».
Grazie a Gianni Rusconi, del Sole 24 Ore e a Mi Serve un Ufficio Stampa per il prezioso supporto nel raccontare la mia visione di crescita e miglioramento per individui e team.